DISTANZIAMENTO

L’emergenza Coronavirus e le regole per gestire la nuova normalità usano parole forse corrette, ma sicuramente fastidiose. È possibile cambiarle con sinonimi o comunque con termini simpatetici? Un inutile esercizio di stile? Può essere, ma, se distanza deve essere, almeno che sia poetica.

Il distanziamento sociale è una conseguenza della pandemia che sta aggravando la disuguaglianza che già affliggeva il nostro Paese.

Il distanziamento fisico indica la distanza di sicurezza che siamo tenuti a rispettare.

Certe parole sono stonate.

Non sociale o fisico: la differenza è facilmente comprensibile, così il corretto utilizzo.

Distanziamento non ispira nulla di buono, evoca un distacco emotivo accompagnato da un senso di fastidio, disagio, insicurezza, sfiducia che rende tollerabile e giustificabile l’essere diffidente.

Abbiamo capito la consegna e metteremo spazio tra noi, ma non chiamiamola distanza, ché diventa essa stessa fisica e invasiva.

Ci vorrebbe un termine temporale, intervallo, per esempio, portatore di ottimismo, il che lo rende sopportabile anche sulla lunghezza.

Il breve intervallo a scuola è una quotidiana conquista: l’intervallo in una partita è la speranza della rimonta nel secondo tempo.

Il tempo, poi, passa e stempera i ricordi; la distanza invece rischia di rimanerci appiccicata addosso.

Sulla stessa modulazione è il sinonimo intermezzo, simpaticamente occhieggiante al tramezzino, che potrebbe pure essere confuso con una piccola parete non portante da abbattere appena non serve più, ma si sa invece che è un modo gustoso per allontanare l’ora di cena. Il tramezzino è il sandwich italianizzato da Gabriele D’Annunzio e rivisto e corretto dalla signora Nebiolo che dall’America l’ha portato a Torino e che al Caffè Mulassano è ancora un’esperienza mistica da ripetere in quel minuscolo baretto appena sarà annullato il distanziamento.

A ben pensarci, un po’ di distanza tra due punti nello spazio dobbiamo metterla, e se abbiamo tempo possiamo pure dilettarci a dimostrarla con Euclide e Pitagora, perché, fatti due calcoli, fosse zero, sarebbe … amore.

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